Di Falco in peggio
13.12.2018 03:14
Strano il mio destino, ma questo lo cantava Giorgia e quindi anche stavolta non mi sono inventato niente. Ho smesso di scrivere 3 anni fa, perchè dovevo lavorare. Ho smesso di lavorare 3 minuti fa, perchè dovevo tornare a scrivere. Già, tre anni. Di tanto e contemporaneamente di nulla. Di un tempo che non è passato a giorni, che sembravano essere tutti lo stesso, ma a blocchi, forse un paio, di 500 l’uno. E così pesano di più. Perchè pesano tutti insieme, di colpo. Ok, un lutto, 10 chili in più e tutti i capelli in meno, ma poi per il resto, cosa è veramente cambiato? Già stare chiederselo è una notizia: non puoi farti una domanda del genere se non è perché dentro senti finalmente, inconfondibilmente, il segno di uno strappo, un punto di rottura. Pensandoci la mia vita è sempre stata fatta di strappi. Non ho mai fatto un passo in avanti senza che di mezzo ci fosse stato prima un evento traumatico e non ne ho mai fatto uno indietro senza che non fosse stato un mio strappo ad andarselo a cercare. Non lo so dove voglio arrivare con questo testo, ma intanto scrivo. Ho riscoperto quest’estasi, ho riscoperto questa esigenza che sembrava sepolta. Non è detto che sia un bene. Anzi, di sicuro non è per niente un bene. Ma così facendo ho un nuovo amico, e un amico in più, di questi tempi, è olio per motore. Gli amici. Si, ecco, questa volevo effettivamente scriverla, l’avevo programmata prima di iniziare. È incredibile come abbia improvvisamente riscoperto il valore dell’amicizia: pochi, pochissimi amici, ma i migliori. Negli ultimi anni, pensandoci, non c’ero mai per loro. “Dai Falco, oggi vediamoci...” e io via con una scusa. “Voi non capite”, mi dicevo. Io devo stare da solo. Ma ero io che non capivo. Non potevo. Solo adesso lo faccio. Ora tutt’a un tratto senza di loro sarei perso, e se più spesso avessi cercato in loro rifugio, forse a quest’ora vedrei ridimensionato il numero incalcolabile dei miei errori. Già, gli errori. Quelli da cui si impara, dicono. Ma fino a un certo punto. Ne ho commessi veramente un’infinità. Ne ho fatto uno grande, poco più di tre anni fa, e da lì, non mi sono più fermato. Come se sbagliare ancora fosse l’unico modo per rimediare agli errori già fatti. Come se sbagliare ancora fosse l’unico modo possibile per dimenticare di aver sbagliato. Non so quanto gli errori mi abbiano effettivamente cambiato, di sicuro mi hanno inguaiato parecchio, al punto che ora sono bloccato e non posso fare un solo passo più in là, prima di averli risolti. È paradossale, ma oggi ringrazio i miei errori, ringrazio i miei guai: senza, probabilmente, non avrei adesso la forza di tirare il freno e mantenere la calma, nonostante la primavera araba che dopo 3 anni di torpore è venuta ad animare il mio stomaco. Se non avessi guai da risolvere, se non avessi danni da limitare, e la dignità nel volerli affrontare... Se fossi veramente libero, benestante, senza pendenze... Se avessi per una volta io, il coltello dalla parte del manico. Beh, oggi avrei già accoltellato. Oggi non sarei qui. Oggi per come mi sento avrei già distrutto tutto per poi fuggire via e far perder le mie tracce. Ma in questi 3 anni ci sono state anche cose positive, o così dicono. Dicono che stia crescendo, dicono che stia migliorando, dicono che stia ottenendo. Dicono. Certo, ne ho fatta di strada, non mi lamento. Il problema è stato il prezzo da pagare, portato sulla bilancia parallelamente al giovamento odierno. A causa di tutto quello che mi è successo e di conseguenza di quello che mi sono fatto succedere, oggi sono diventato anche parecchio fatalista: dicono che ogni situazione, ogni persona che incontri nella tua vita, serva per indirizzarti verso qualcosa. Chi lo sa se è vero. Mi chiedo per esempio a cosa sia servito io a chi ha alzato i tacchi e se ne è andato senza colpo ferire. Forse lo sanno loro, di sicuro non lo so io. Però forse c’è della verità. Forse per me è stato così. Forse da loro sono stato indirizzato. Probabilmente oggi non avrei fatto tutto quello che di buono ho fatto, se non fosse stato che un giorno, mentre mi divertivo e la vita ancora mi piaceva, qualcuno sconvolgesse le mie prospettive, facendomi sentire improvvisamente una nullità, confutando ogni mia certezza e confinandomi nell’ossessione di dover fare qualcosa, qualsiasi cosa, per arrivare a dimostrare un giorno di poter essere al livello. Un giorno in cui peró resterai solo con le tue medaglie, che non puoi mostrare a nessuno, tanto meno a chi ti ha ispirato e che adesso, anzi, subito dopo aver dimenticato, raccontava di vita e di barche, di successo, ricchezze e stabilità, quasi come volesse essere tutto una beffa stabilità a tavolino per rimarcare il danno. “Sei troppo pessimista”, quante volte me l’hanno detto senza capire che in realtà il mio problema è sempre stato l’opposto: credere sempre di potermela cavare. E oggi non sarei qui, se davvero fossi un pessimista, a rivedere il mio fragile castello di infelici e soggiogati equilibri, eretto sulla mediocre ambizione del soffrire ma non troppo, del crescere, ma mai abbastanza, di vivere, ma in realtà per niente. Se è vero che ogni esperienza della vita, almeno a quest’età, serva a indirizzarti verso qualcosa, a smuovere le tue convinzioni, a rivedere i tuoi piani che poi piani non ne avevi, mi chiedo allora cosa stia cercando di insegnarmi la vita adesso. Perchè veramente non ha senso. Non a me. Non dopo tutto ció che è stato. Non dopo questi tre anni. O forse il senso l’ho già toccato con mano, pur senza accorgermene, tanto da scriverlo. Forse il senso è semplicemente tutto qua. Ho vissuto nella speranza di realizzarmi senza forse neanche volerlo, con la sola stupida velleità di non soffrire mai più. Oggi quello che faccio non so più se davvero mi piace e in compenso soffro ancora. Non so perchè la mia vita, a cui avevo rinunciato, mi stia facendo questo. In fondo, qualsiasi cosa mi accada, cos’è che ne resterà alla fine? Come di quando sembrava impossibile, come di quando sembrava finita, come quando sembrava come sembrava tre anni or sono e nei tre a venire. Resta un nuovo blog, resta solo un altro capitolo. Materiale per quell’autobiografia che mai scriverò ma che nel sogno vano di poterla un giorno realizzare mi farà sopravvivere a botta di darmi la forza di continuare con questa strana storia chiamata vita. La mia strana, inconsistente e troppo spesso dimenticata vita. Pur senza stupirmi, pur senza meravigliarmi, pur senza essere in grado di tornare veramente a goderne. Forse il senso di tutto era soltanto questo: ricordarmi che mi piaceva scrivere.
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