Killer Instinct (Istinto Killer)

16.09.2013 11:47

Chi per un motivo chi per un altro, quasi tutti conosciamo Dan Peterson. 
Storico allenatore di basket degli anni 70/80, diventato poi uno show-man del para-giornalismo sportivo in TV, prima a mediaset, dove addirittura commentava il Wrestling, poi a Sky, infine a Sportitalia.
Nelle sue telecronache, il buon Dan, parlava spesso di un concetto per me molto interessante, quello del "Killer instinct", in italiano istinto killer.
Lui lo associava allo sport, in particolare al basket. 
Intendeva quella capacità di ammazzare la partita nel momento giusto, di dare lo strappo decisivo, il colpo del KO quando l’avversario è claudicante. Non è cosa da tutti in effetti. Non è nemmeno un concetto così semplice come appare. Riflettendoci un po’, ho più volte esteso questo tipo di ragionamento ad altri contesti.
Nella vita, proprio come nel basket, un conto è dover inseguire una situazione, rincorrere un risultato, sopravvivere negli stenti e resistere alla mediocrità. Un altro conto è galleggiare quando si è impattato, resistere nella parità, non demordere per restare al passo. In entrambi i casi basta la determinazione, la disponibilità al sacrificio, l’abnegazione, insomma, fin dove può arrivare il proverbiale cuore gettato oltre il celebre ostacolo. C’è un altro conto ancora però, quello che distingue i cinici dagli emotivi e soprattutto i vincenti dai perdenti: il saper scoccare la freccia quando la situazione è già vantaggiosa per portare definitivamente a casa il punto. I perdenti hanno uno spirito di sopravvivenza innato, più forte di quello degli stessi vincenti, che invece nelle difficoltà si deprimono non essendo la difficoltà il proprio campo di battaglia usuale. I perdenti tendono però a tirare il fiato quando le cose si rimettono a posto. Tendono ad allentare la pressione dopo aver siglato il goal del pareggio, a rilassarsi quando il peggio è passato, ad accontentarsi quando si è fatto già abbastanza, ad essere incostanti fin quando ce lo si può ancora permettere, ad assecondarsi e compiacersi quando la rimonta è stata compiuta e la coscienza è finalmente pulita. E’ qui che subentra il solco segnato dal killer instinct, tra chi ce l’ha e chi non ce l’ha. Tutta la popolazione mondiale può essere suddivisa da un lato all’altro di questo solco. Solo chi ha il killer instinct ha successo assoluto, chi non ce l’ha alza il piede dall’acceleratore quando è finita la salita; chi ne è dotato, invece, è proprio quando vede la discesa che inizia a spingere più forte sul pedale. I vincenti battono il ferro finchè è caldo. I perdenti si stanno e basta, siano essi incudine o martello. Lasciano che il nemico li umili dopo averli sconfitti, ma sono compassionevoli e clementi quella volta su mille che per puro caso hanno vinto loro.
La Juventus che ha 10 punti di vantaggio e va in campo per farli diventare 13 ha il killer instinct, il Napoli che ne recupera 10 e poi pareggia in casa con la Sampdoria al momento decisivo, non ce l’ha.
Se è chiaro quale sia il destino di chi ha questa qualità, non mi è ancora del tutto chiaro che fine ne sarà di noi.
Già, noi. Gli eterni numeri due, quelli che predicano a meraviglia, ma steccano quando la vita è reale. Si ustionano quando la palla è pesante e scotta, che annaspano quando la partita è sul filo, che quando arriva l’occasione che tanto maledicevano il mondo per non avergli mai concesso, vanno nel panico e cercano di inventarsii la scusa giusta per dimenticarla e non cogliere neanche quella.

E’ facile a reagire, a lottare, a risalire… ma poi quando si è di nuovo al piano terra? Come la metti se l’istinto (più che killer, suicida) fa di tutto per ripotarti giù dov’eri prima? Come si combatte la paura di poter essere più di ciò che pensassi? Come ci si sgrava dall peso della responsabilità di una vita meno anonima di quella a cui ci si è, inconsciamente ma allo stesso tempo volutamente, limitati?

Chi lo sa cosa mi risponderebbe il buon vecchio Dan. Chissà se lui, il teorizzatore del concetto, l’ha avuto poi davvero nella vita questo killer instinct. Chissà se invece ha qualche rimpianto anche lui.

Se un giorno mai saremo colleghi, sperando che lui sia ancora vivo, giuro che glielo chiederò.

A.F.

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