Per Calvizzano
23.06.2017 05:34Dal momento che dormire è impossibile e che una delle pochissime cose che so fare discretamente è scrivere, ho pensato di buttare giù qualche parola.
Mi piacerebbe poter dire che quello che abbiamo creato, quello che abbiamo fatto con voi, per voi, e soprattutto grazie a voi, valga più di alzare una coppa. Ma non è così.
Mi piacerebbe poter dire che l’anno prossimo ce la faremo. Che questa brutta botta non sarà altro che lo sprone decisivo per vincere in futuro. Ma non succederà, o quanto meno, è impossibile promettere che ciò possa realmente poi avvenire.
La verità è che abbiamo sprecato un’opportunità probabilmente unica, che non è detto che ricapiti. Anzi, un’occasione che è molto probabile che non ricapiti più e che per crearci siamo andati ben oltre i nostri limiti. Fino all’altra sera.
La cosa peggiore di questa serata, non è tanto l’aver mancato la soddisfazione personale di vincere qualcosa. La cosa peggiore di questa serata è questa tremenda sensazione di non aver contraccambiato il vostro affetto. Di non esser stati alla vostra altezza.
In questi mesi si è creato qualcosa di fantastico, una simbiosi irrazionale, inspiegabile per la categoria, e infatti è dura che a raccontarglielo qualcuno da fuori ci creda. Nessuno di noi è degno di essere definito un “giocatore” di pallacanestro, ma voi, per un attimo, ci avete regalato il sogno di essere tutto a un tratto i giocatori che da piccoli sognavamo di poter essere, e che invece non siamo mai diventati.
Ho lasciato il basket di buon livello 6 anni fa, stavo per lasciarlo già l’anno prima e ho iniziato a pensare di lasciarlo quello prima ancora. L’ho fatto quando tra i 18 e i 20 anni, tutt’a un tratto, il più bello ed il più profondo amore della mia vita si era improvvisamente ridotto al macigno sullo stomaco di dover preparare la borsa per andare a fare allenamento: un peso ogni volta più schiacciante. Il basket, fino a quel momento, era stata tutta la mia vita. E quando dico tutta la mia vita, dico proprio tutta la mia vita:
Ho mollato sul più bello, quando finite le giovanili e toccate prima la Serie C e poi la Serie D, era arrivato il momento di diventare grande, di capire dove si potesse arrivare davvero. Ma all’improvviso era tutto diverso, non si trattava più di lottare per la tua maglia storica, con i tuoi amici di una vita, ma si trattava di emergere tra sconosciuti di varie età, che nulla sapevano di te e del tuo percorso. Prima eri un leader, adesso sei solo il ragazzino. La paura di non essere all’altezza, divenne voglia di mollare. Ho lasciato il basket perché non mi sentivo voluto bene: perché capii che lui non voleva bene me quanto io ne avevo voluto a lui.
6 anni dopo, senza alcuna aspettativa e con il solo intento di buttare la testa in qualcosa che sapevo mi piacesse in un periodo in cui tutto il resto non mi andava e non mi piaceva, mi sono ritrovato a giocare davanti a cento persone. Cento anime che si disperavano e impazzivano di gioia per noi. Qualcuno di voi mi ha addirittura detto “siete per me ciò che è il Napoli per mio padre”, che è una delle cose più belle che mi sia mai sentito dire nella mia vita. Mi sono trovato a ringraziare per i complimenti facce che non distinguevo e che non riconoscevo. A sentire boati da stadio accompagnare il pallone nella sua discesa dalla retina, come se il fatto che quel tiro da 3 lo segnassi o meno, fosse davvero importante per qualcuno. E per voi lo era.
“Ce l’abbiamo solo noi Falco, Falco…”
Mi sono ritrovato a regalare maglie, a sentirmi parte di qualcosa di più grande, a sentire cantare il mio nome. Nonostante non fossero amici miei, nonostante avessi 10 chili in più, nonostante fossi più lento, più in affanno e soprattutto decisamente più scarso rispetto a prima. Mi sono sentito importante, come non mai: Mi sono sentito voluto bene.
Purtroppo, anche e forse soprattutto per colpa mia, non c’è un lieto fine a questa storia. Forse adesso sarà più chiaro a voi, e ai miei compagni, perché ci tenessi così tanto. Questa volta non bastava aver dato tutto, questa volta bisognava vincere. Vincere, l’altra sera, per me sarebbe stata la chiusura del cerchio. Un cerchio che però non si è chiuso e che, a questo punto, se non si è chiuso stavolta, ho il ragionevole e fondato sospetto che non si chiuderà mai.
Ad ogni modo grazie Calvizzano, perché se non posso promettervi che l’anno prossimo vinceremo, se non posso promettervi che sarò un “giocatore” migliore che non sbaglia mai nei momenti decisivi, c’è una cosa che non vi è dubbio che io possa promettervi: ossia che riserverò sempre a voi, a questa stagione, alla partita con Avellino e a tutto il resto, un posto grande e speciale nel mio cuore. Malgrado la brutta ferita.
Altrettanti ringraziamenti vanno anche a chi ha reso possibile tutto questo: al presidente e al coach che hanno avuto fiducia incondizionata nei miei confronti. A chi ha giocato poco o addirittura niente, ma che ha fatto per questa squadra molto di più di chi ha messo dentro il pallone. Ai compagni tutti, al di là delle piccole o meno piccole sartuarie divergenze.
E’ stato un raro onore.
Con affetto.
Andrea Falco #15

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