Sorridere è... una sconfitta: cronache di un uomo "contento"
19.01.2016 00:1418 gennaio.
Nel 2012 fu una data di estrema sofferenza, nel 2013 di ricordo dell'anno prima, nel 2014 non ne ho idea, nel 2015 di un'illusoria quanto fugace rinascita. Riferendoci invece a questo lunedì di inizio 2016, è stata la data di una piccola svolta. Non solo si tratta del lunedì seguente al primo week-end dopo mesi in cui non ho parlato pubblicamente di “mal di sabato”, ma addirittura oggi al lavoro amici e colleghi mi hanno mosso un'accusa inconsueta, che quasi mi offende. Mi hanno detto: “Stai tutto contento”. Contento? Io? Andrea Falco e contento nella stessa frase al giorno d'oggi sa un po' di ossimoro, non che io non sia mai stato contento, è solo che è passato un po' di tempo e soprattutto un po' di abitudine a non esserlo e dunque mi ero sostanzialmente dimenticato della sensazione al punto di farmi due domande dopo essermela vista attribuire. Mah, io contento... possibile mai? In effetti non sono contento. Certo, di questi tempi il Napoli ci tiene tutti di discreto umore, ma contento, o peggio felice, è un'altra cosa. Immagino che lo abbiano detto perchè mi hanno visto sorridere, ma vi assicuro che hanno frainteso. E' vero, magari non capiterà troppo spesso di vedermi sorridere, ma io vi garantisco ancora una volta di non essere contento, di non averne motivo! Alla fine io lo so cos'è. E' che vi siete così banalmente abituati a vedermi giù che ormai del mio cattivo umore ne facevate un concetto assoluto, senza valutarne i milioni di sfumature. Un'etichetta che non ne distingueva gli alti e bassi, gli sbalzi, le crisi, le razioni, le riprese. Ebbene si, di tanto in tanto anche io sorrido. Ma non sono contento, attenzione, vi ribadisco che non sono contento. Il punto è che tutto stanca. Come ci si stanca di creare, ci si stanca anche di distruggere, ed io sono semplicemente stanco di star male. Attenzione, non sto dicendo che io ci abbia messo un punto, che abbia cacciato le cosiddette metaforiche palle, che abbia preso in mano la mia vita e tutte le cazzate del caso. Semplicemente nella vita esistono i cicli e se le parabole ascendenti prima o poi si esauriscono, vaffanculo, aggiungo io, prima o poi deve accadere anche per quelle nefaste. Insomma, è semplicemente un discorso di tempo che fa il proprio corso, di ferite che cicatrizzano, di pozzanghere che si asciugano, di lava che si solidifica e tutte le cazzate appresso. Immagino, dal basso del mio dannatissimo vizio di farmi per forza domande e pretendere per forza di trovarmi risposte, che la differenza l'abbiano fatta un paio di cose. In primis, un po' come la prima volta, la scelta inconsapevole di chiudermi un po' in me stesso, di riscoprire, me stesso, (anche se su questo siamo ancora in alto mare, ma ci stiam provando). Ovviamente non nella stessa misura della prima volta, in cui sparii dal mondo. Anche perchè non posso permettermelo, anche perchè fortunatamente oggi ho qualcosa, il mio lavoro, che al netto di tutto nel mio piccolo mi rende felice. Anche perchè oggi non marcisco in un furgone, ma faccio una vita (più o meno) pubblica. Anche perchè forse stavolta per guarire (non sono ancora guarito eh, non lo pensate mai) serviva meno fatica, perchè meno pesante era il flagello. Oddio, pensandoci anche questo è un paradosso, il mio ultimo post su questo blog portava come titolo “peggio di prima”, allora sarà forse che sto guarendo davvero? Ma no, non sono contento. E' che ho fatto un passo avanti facendomi un bagno di umiltà, smettendo di pretendere di poter prendere il problema di faccia, cosa che evidentemente non ero all'altezza di fare, ma fuggendogli, accettando i compromessi, e le sconfitte, soprattutto le sconfitte. Ma non sono contento, e non è che le ho superate queste sconfitte, e soprattutto non è che ho già ricominciato a giocare, questo sia chiaro. E' solo che ho rinunciato all'ambizione irrealizzabile di essere straordinariamente felice come prima, con l'unico kit di cose che felice mi rendeva, per riscoprire piuttosto il piacere delle piccole cose. Fare pur sempre le 5 del mattino si, ma non in giro a bere, bensì da solo, in camera, sfidando i decibel di questo silenzio, riscoprendo il piacere di una partita a football manager, o di un film su Sky, scrivendo un pezzo in più, al posto di un pezzo in meno, facendo un'intervista in più, scrivere e intervistare di più, senza per forza dover fare il colpo dell'anno, ma anche semplicemente fermando due passanti per strada per poi scriverci, costruirci e montarci un servizio. Ma non sono contento, attenzione. Perchè mai dovrei.
C'è un qualcosa che mi preme chiarire, che mi preme soprattutto poter spiegare e mi impegnerò per farlo al meglio. Ma non riuscirò neanche in questo, sia chiaro. Tornando al discorso di cui su, nella vita ci hanno insegnato che tutto ciò che non uccide fortifica e soprattutto che a tutto ciò che è “sopravvivibile”, si sopravvive. E allora, anche se oggi non sono contento, potrebbe arrivare il giorno in cui davvero lo sarò. E mi vedrete ridere. E mi vedrete vivere e gioire. E mi vedrete canticchiare, scherzare, urlare, sclerare. Mi crederete contento davvero, o peggio, mi crederete un vincente. Uno che ce l'ha fatta, uno che ha visto girare la ruota "sopra il giorno di dolore che uno ha". Ed è qui che sta il vostro più grande errore. Non solo il vostro eh, anche il mio, per carità.
In questi mesi la gente mi ha fatto due coglioni abnormi accusandomi di non essere in grado di superare una determinata cosa, di non essere in grado di sbattermene le palle, guardare avanti e tornare a sorridere. Che poi cazzo significa guardare avanti. Avanti, avanti, avanti, ma lo sapete che poi a un certo punto l'avanti finisce?
La gente crede davvero che ridere dei problemi, rialzarsi dalle cadute, innamorarsi di nuovo e tutte ste cose qua, siano vittorie. Ma è proprio qui che vi sbagliate. Sapete perchè mi sono distrutto l'anima fino a impazzire? Perchè questa ciclica banalità di cui su io non volevo accettarla. Perchè nell'onore e nel rispetto di ciò che mi ha avvelenato il fegato, infettato il sangue, deviato il cervello, gelato il cuore e corroso l'anima, io questa storia non mi accontentavo di superarla: volevo cambiarla. Arriverà il giorno in cui mi vedrete sminuire, dire che non è stato nulla, uscirmene con tutti i “quanto ero stupido” e i “ma come era possibile” del caso...
Beh, quel giorno pestatemi a sangue. Quel giorno rinfacciatemi ogni secondo di dolore, ogni mal di sabato. Mettetemi sotto gli occhi ogni mio fallimento, ogni tradimento patito, ogni coltellata rifilatami nella schiena. Dimostratemelo, fatemelo capire, che sono un perdente. Perchè non è forte chi cade e si rialza, ma solo chi non cade. Non è un vincente chi supera una sconfitta, ma solo chi la partita non l'ha persa. Rimettersi in cammino dopo aver centrato in pieno un ostacolo non è una vittoria: la vittoria sarebbe stato aggirarlo, saltarlo, evitarlo, scansarlo, o il cazzo di sinonimo che preferite. E allora no, no che non sono contento. E no, che non voglio esserlo. Alla fine anche la mia ostinazione si perderà nel nulla dell'umana mediocrità, nella nostra cultura dell'accontentarsi del male minore, del non fa niente, di smettere di pensare perchè quel pensare fa soffrire, dimenticandoci che quello non è vincere, vincere sarebbe stato essere in grado di trasformare quella sofferenza in gioia pur non cambiando il pensiero! "Non essere triste, sìì felice". Cazzo c'è da essere felici quando perdi? Un giorno cambierò punto di vista, è naturale, è fallibilmente e semplicemente umano. E allora si, sarò uno di voi. Sorriderò anch'io, co finalmente sarete contenti. Rincuoratevi, sorriderò anch'io come voi, sorridero anch'io in faccia a sto cazzo. Ma si sappia che tornare a sorridere non era quello che volevo: quello che volevo sarebbe stato non smettere.
La più atroce e dolorosa scoperta che ho dovuto digerire in 25 brevi e allo stesso tempo lunghissimi anni di vita, è che io non sono SUPER MAN, e neanche Hulk, Higuain, Michael Jordan, Gesù Cristo, Nelson Mandela, il Grinch o Babbo Natale. Soltanto Andrea Falco. Non uno speciale Andrea Falco, ma un Andrea Falco qualsiasi.
Che tanto qua basta accontentarsi di non star male, piuttosto che star come si vuol stare. Che tanto qua basta accettare gli alti e i bassi con i vostri stessi banalissimi cicli. Con le vostre risa che diventano pianti e pianti che diventano risa. Incapaci di controllare il tempo, l'esaudirsi dei desideri, il consolidarsi dei sogni e il destino degli stessi. Ma piuttosto in balia di essi, senza pace e senza tregua. Avrei preferito sbriciolarmi la faccia contro il muro a forza di sbattergliela contro all'infinito. Avrei preferito continuare ad amare perdutamente la stessa donna a patto di "ammirarla" nell'atto di darsi a qualche fortunato bastardo davanti ai miei occhi, piuttosto di non riuscire più a volerne nessuna. Avrei preferito 100 anni di inferno e una speranza, piuttosto che una serenità apparente senza nulla per cui combattere, in esilio dal campo di battaglia. Volevo avere la forza di continuare a star male, di avere una storia speciale da raccontare, di riuscire a riscontrare ancora qualcosa di eroico nel mio folle progetto di masochismo patologico e nella devozione totale ad una causa esclusiva che non volevo mollare. Ma non ce l'ho fatta. Ed ecco che allora sorrido, ma non è che sono contento. Perchè non sono un eroe, sono solo Andrea Falco. Con tutto quel poco eppur tantissimo, tanto eppur pochissimo, che ne deriva.
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